La ricerca artistica di Silvia non va collocata all’interno della storia dell’arte ma bensì in quel nucleo espressivo di cui l’essere ha bisogno per poter comunicare, in primis a se stesso, delle intuizioni. Dalle prime esperienze con la pittura su tela appaiono sagome cromatiche che possono essere riconducibili a figure sfocate di esseri in transito. Il far apparire tutto ciò in modo inconsapevole ha portato Silvia alla ricerca sull’inconscio che si è poi convogliato nell’esigenza dello studio dell’ipnosi. Il chiarimento personale tramite questa pratica ha dato vita alla serie di carte titolate Danze Aliene dove la china policroma scorre colorando linee controllate dal suo gesto.
Il supporto, a differenza della tela, si alleggerisce favorendo il movimento tridimensionale che diventa traccia, segno: dinamismo liquido di una massa cromatica volvente. La linea entra a far parte del Suo immaginario e decide quindi di iniziare ad utilizzare il suo proprio corpo, come massa autonoma e dinamica che grazie alla fotografia ferma momenti del movimento che poi verranno scelti e sintetizzati in vettori curvilinei di forza. Nasce quindi, ambientato nel parco botanico e di scultura La Serpara, il progetto A Quantum Experiece che raggruppa elementi della Sua vita dalla danza alla ginnastica artistica, dalla pittura all’ipnosi. Silvia si giustappone ad una scelta delle sculture presenti nel parco creando un contrasto materia corpo che darà vita alle linee di forza di cui si parlava precedentemente.
Questa dimensione intima vissuta nel parco ha come evoluzione una seconda esperienza che stavolta va ad occupare un territorio più espanso e pubblico: la città. Terni, la sua città natale, luogo di siderurgia che vede presenti sulla sua superfice diversi esempi scultorei che sono stati posizionati dal dopoguerra in poi durante la ricostruzione della città, devastata dai bombardamenti. Sia per grandezza che per paesaggio circostante il Suo corpo si va a giustapporre a questi monumenti con una proporzione ed una difficoltà maggiore ed in alcuni scatti il suo corpo appare micro rispetto al surrounding. L’interazione del corpo con la città prende una forma più solida e la proporzione diventa ancora più dinamica.
Ricapitolando questo segmento di sperimentazione degli ultimi quattro anni, dove si è passati dalla tela alla carta e dalla natura alla città, dal gesto di un pennello ed uno straccio al colore steso dal movimento, dall’intuizione alla consapevolezza della posa, possiamo evincere come passato presente e futuro sono amalgamati all’interno di gesti e visoni strettamente connessi e legati dalla propulsione di mescolanze di medium espressivi che compongono segmenti connessi di esperienze reali.
Silvia’s artistic research has nothing to do with art history. It has to do with the expressive nature that individuals crave to be able to express intuitions, first and foremost to themselves. Her first attempts at painting on canvas consisted of colourful shapes that resemble blurred figures of individuals passing by. In representing this, Silvia unintentionally began researching the unconscious, which then resulted in the need to study hypnosis. Through this practice, the artist’s self-reflection led to a series of works on paper entitled Danze Aliene (Alien Dances), in which polychrome Indian ink flows, drawing colourful lines with each brush stroke. Since paper is lighter than canvas, it allows for a three-dimensional movement that becomes a sketch, a mark: the liquid dynamism of a rolling chromatic mass. Lines became an integral part of her artistic approach and as a result she decided to start using her own body as an independent and dynamic mass, which, through photography, captures moments of movement that are then selected and reproduced as curvilinear force vectors. This is how the A Quantum Experience project came about, set in the La Serpara botanical and sculpture park, which combines elements of her life, from dance to artistic gymnastics, and from painting to hypnosis. Silvia juxtaposes herself to a series of sculptures in the park, creating a contrast between matter and body that brings to life the previously mentioned lines of force.
This intimate atmosphere that can be enjoyed in the park evolves into another experience, this time involving a larger public area: the city. Terni, her birthplace, is an iron and steel district featuring a number of sculptures that were put on display in the post-war period when the city was rebuilt, after being destroyed by bombing. In terms of both size and scenery, her body is juxtaposed to these monuments with a greater proportion and difficulty and, in some shots, her body seems tiny compared to the surroundings. The interaction of body and city takes on a more solid form and proportions become even more dynamic.
To sum up this area of research conducted over the last four years, with a transition from canvas to paper and from nature to the city, from a brush stroke and a cloth to colour applied through movement, from intuition to the awareness of a pose, we can see how the past, present and future are bound together by gestures and visions that are closely connected and linked by the drive to mix expressive techniques that constitute related fragments of real experiences.
Il XX secolo si presentò sfasciando le porte e rivoluzionando i concetti di anima e materia. La psicologia e la fisica hanno ridisegnato un mondo permeabile, nel quale il visibile e l’invisibile procedono uno accanto all’altro senza soluzioni di continuità.
All’artista fu consegnato il compito di farsi figura di confine tra stato di veglia e percezione onirica, tra materia e forza. Mentre Freud e Planck indagavano le ragioni profonde di illogicità solo apparenti, le avanguardie storiche presero a ibridare il caso con la causa.
Il XX secolo si presentò sfasciando le porte e rivoluzionando i concetti di anima e materia. La psicologia e la fisica hanno ridisegnato un mondo permeabile, nel quale il visibile e l’invisibile procedono uno accanto all’altro senza soluzioni di continuità.
All’artista fu consegnato il compito di farsi figura di confine tra stato di veglia e percezione onirica, tra materia e forza. Mentre Freud e Planck indagavano le ragioni profonde di illogicità solo apparenti, le avanguardie storiche presero a ibridare il caso con la causa.
È un paesaggio inquieto quello che precede la coscienza; chi vi opera, in quanto terapeuta o artista, può avere la percezione di essere a contatto con una realtà prossima alla sorgente del senso. Curiosamente in questa dimensione individualissima ciò che emerge è l’universale. Nella regione degli archetipi vacillano i confini tra le culture, tra il corpo e lo spazio. Bello diventa allora l’equilibrio precario tra mondi, apparizione in un’area di sintesi nel quale l’artista si progetta, è un lancio in avanti che sfida l’alea.
La consapevolezza del rigore del divenire s’avvita con l’esigenza complementare di salvare l’azzardo dalla danza di una coppia di dadi. Mallarmé ha posto l’opera al termine di un processo che ha nel risultato la verifica della propria correttezza. Tutto ciò che conta è l’armonia del campo, se l’opera è efficace allora funziona, se funziona è efficace. Una tautologia che non serve a niente se non a disarmare la ragione, privata del potere di attribuire significati alla logica che costantemente reinventa l’orizzonte. Intuisce per simpatia il comporsi di nuvole e foglie e onde, o impronte digitali, sempre uguali e uguali mai, chi si rende sismografo, a registrare movimenti analoghi a quelli che sostengono il rigenerarsi di codici biologici. Una volta astratto lo slancio vitale, restano solo calligrammi, glifi assoluti e quindi affascinanti come i caratteri di una lingua che non conosciamo e che pure parla attraverso di noi, incessantemente.
Dato questo sfondo, il lavoro di Silvia Piconi avanza coerentemente di tappa in tappa. C’è la fruttificazione di un’esperienza, quindi un salto verso un nuovo stadio, cui segue una fase di acquisizione della necessaria quantità di energia, e poi un salto ancora.
In principio Silvia lancia le mine, una pratica che riecheggia l’azzardo oggettivo surrealista e le ripropone in una veste di sapore orientale. Quindi spezza le linee per transitare dalla descrizione di campi di forza alla costruzione di campiture nelle quali navigano elementi biomorfi, infine individua linee vitali in un processo di sempre maggiore coinvolgimento del corpo.
Il corpo si fa medium per dare segno all’ambiente, di conseguenza i confini tra il dentro e il fuori, o tra energia e materia, appaiono contemporaneamente posti in discussione. Se si adotta questa visuale, cede l’antinomia tra visibile e invisibile.
The 20th century appeared crashing through doors and revolutionising the concepts of soul and matter. Psychology and physics have redesigned a permeable world, where the visible and the invisible seamlessly proceed abreast.
The artist was given the task of standing at the border between a state of wakefulness and oneiric perception, between matter and force. While Freud and Planck investigated the deep reasons for only apparent illogicalities, the historical vanguards started cross-breeding case and cause.
Conscience stands before a disquieting landscape; whoever works there, either as a therapist or an artist, may have the perception of being in contact with a reality that is close to the source of meaning. Curiously, that which is universal arises from this extremely individual dimension. In the region of archetypes, the boundaries between cultures, between body and space falter. The precarious balance between worlds then becomes beautiful, an apparition in an area of synthesis where the artist conceives, a lunge forward that defies randomness.
The awareness of the rigour of becoming entwines with the complementary need to save hazard from the dance of a pair of dice. Mallarmé placed the work at the end of a process, with the test of its correctness being its result. What matters is the harmony of the field – if the work is effective then it works, if it works it is effective. A tautology that serves no purpose other than disarming reason, deprived of the power to attribute meaning to logic, which constantly reinvents the horizon. He intuitively understands the composition of clouds and leaves and waves, or fingerprints, always the same and the same ever, whoever turns into a seismograph, to record movements similar to those that support the regeneration of biological codes. Once the vital impulse is abstracted, only calligrams remain, glyphs that are absolute, hence as fascinating as the characters of a language that we do not know and yet unceasingly speaks through us.
Against this backdrop, Silvia Piconi’s work moves forward consistently along the journey. There is the fruiting of an experience, therefore a leap towards a new stage, followed by a phase for acquiring the necessary amount of energy, followed by yet another leap.
In the beginning Silvia throws mines, a practice that echoes the surrealist objective hazard and replays them cloaked in an oriental robe. Then she breaks up the lines to cross over from the description of force fields to the construction of backgrounds where biomorphic elements drift, to finally identify vital lines in a process of ever greater involvement of the body.
The body becomes a medium to embody the environment, consequently the boundaries between in and out, or between energy and matter, are simultaneously challenged. If one adopts this viewpoint, the antinomy between visible and invisible collapses.