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Danze Aliene

DANZE ALINE
La pittura… si nutre di impulsi

(cit. Mirò)

Immagini dell’inconscio. Immagini primordiali. Archetipi, che si ripetono, ogni qualvolta la fantasia creatrice si esercita liberamente. Silvia riesce a portare in superficie quell’inconscio che proprio solo del sogno. Nei suoi lavori prendono ritmo visioni segniche e biomorfiche, tra sobrie atmosfere e arie soffuse. Cromie primarie graffiate. Scritture criptate dalle proprie suggestioni. Segni, simboli, si rincorrono, galleggiando tra materia e materiali, tra spazi aerei, impalpabili, privi di peso.

L’inconscio riflessivo produce personaggi e visioni, cavalieri e fatine. Forme che si impongono. Raschiandole affiorano. Tracciando si delineano. Figure a metà tra il terreno e il divino. Onirici racconti custodi di due istanti: un primo, istintivo, casuale, impulso diretto e viscerale, un secondo calcolato e disciplinato. L’apparente semplicità di questi tratti racchiude una complessità che è strettamente collegata con il suo vissuto. Dinamismo, impeto, scioltezza. Ogni atto, come una cellula contiene in sé il genoma di chi lo ha prodotto. Silvia sperimenta, sente l’impulso a lasciarsi andare in un gioco casuale. Attraverso le trame di carta, la sua mano cerca incessantemente un gesto liberatore. È l’inconscio che come una marea supera tutto, ogni barriera, ed entra in ogni sua struttura. L’arte per Silvia ha bisogno di forza psichica e di allenamento. Poi un lampo improvviso e dirompente libera la magia.

Le composizioni oniriche in grafite, si tingono di blu, rosso, giallo, verde e la tela danza.

Il potere magico della matita, celebra pittura e disegno e la poesia si fonde con esse. Con le sue incursioni nel mondo onirico recupera personaggi perduti, intrappolati nelle trame della filigrana, evasi dalla cornice materiale. Sogni e intimità palpitano nelle sue opere dando voce a quella spiritualità primitiva che si nasconde nell’angolo più intimo dell’anima. Trasversale, ancestrale: Silvia accarezza ognuno di noi sfiorando la materia e la accende donandole un’anima eterna.

Vita. Sperimentazione. Impulso creativo e creatività impulsiva. Assemblaggio ponderato e costruzione impalpabile per le sue mine alla ricerca delle forme primordiali del segno. Un alfabeto simbolico scolpito nella carta. Una scrittura enigmatica, dove la fantasia è libera di esprimersi in molti intrecci. Nei suoi scenari privi di spazio e di tempo, si è come catapultati in una fiaba. Un mondo al di là del visibile con sfondi eterei. Composizioni la cui l’unità si configura come organizzazione di energie, trasmesse sulla superficie dal gesto della mano.

Segni, punti, linee. Sorprendenti nella loro semplicità. In bilico tra il conscio e l’inconscio, tra processo automatico e riflessione meditativa, scavano nel sogno quanto la mente vi naufraga.

La sua individualità trova piena espressione nelle sue “Danze aliene”, nelle quali adotta ideogrammi astratti che semplificano l’immagine limitando la tavolozza spesso al bianco e al nero.

In esse una matrice mitologica, misurata e meditativa, che evidenzia una dimensione onirica. Sfondi indistinti e nebulosi animati da sinuose creature fluttuanti che evocano forme di vita primordiale. Una complessa iconografia personale, che va al di là del segno, in grado di trasformarsi e stupire. Un meccanismo automatico puro, che esprime il funzionamento reale del suo pensiero. Nei suoi dipinti Silvia scopre di essere libera dalle costrizioni della forma; è il suo spazio, frammento di una realtà senza fine che allude all’infinito.

Alice… Nel paese dei Quanti

C’è un filo ininterrotto di coerenza tra i primi quadri di Silvia Piconi e le sue opere più recenti, nonostante l’inconciliabilità apparente tra l’informale delle origini ed i giochi di spezzate geometrie dei suoi ultimissimi lavori.
Pittura di “movimento” quella degli esordi, con il pennello che scivola leggero sopra il supporto di tela e addensa in macchie il colore, in morgane di forme dagli indefiniti contorni, come dietro opalescenti sipari o sferzate di vento, in un fluttuare di segni che riportano alla mente gli “Stati d’animo” dipinti da Boccioni.

Un regista occulto sembra muovere la mano dell’Artista, un po’ come fa il vento quando disegna il cielo di nuvole e crea scenari che si compongono ad un tratto e un attimo dopo svaniscono, per illudere ancora di altre forme, tutte diverse tra loro, combinazioni infinite dell’infinita fantasia del vento.

Per uscir di metafora…, l’universo di segni e di forme che Silvia Piconi ci propone è una sorta di ragnatela tenace, la “selva oscura” della dimensione dell’inconscio, dove s’annidano fantasmi di mai sopiti rimorsi, frustrazioni lontane, resti dimenticati di quanto è stato d’ogni umano, possibile naufragio.

La pittura diventa il mezzo d’un “disvelamento”: la “mente” che esplora quanto c’è di magmatico nei sotterranei della coscienza, la “molla” che riporta in superficie bolle di passato e le rende trasparenti alla mente cosciente che si propone di conoscerle.

Niente è suggerito dal”Caso” nei primi quadri di Silvia e la libertà di movimento che sembra muovere il pennello non è mai assoluta, quasi seguisse, piuttosto, al di là dell’informe apparente, il tracciato invisibile d’un’ idea prestabilita.

Il “Caso” non è protagonista neanche negli ultimi lavori di Silvia Piconi: L’Artista lascia cadere, sul supporto di carta ( o di legno ), segmenti di ferro, “mine” che si compongono all’istante in figurazioni geometriche, diverse tra loro, in uno spazio che non e più allegoria della Coscienza, ma “Spazio quantico”, campo cosciente dell’illimitato, dove infinite diventano le possibilità – altrimenti limitate – d’un Tutto sublime che non ha confini.

LINEA Segno lineare (materiale o ideale) che indica il termine, il confine di qualcosa

L’iniziale percorso di studio e d’interessi di Silvia Piconi l’hanno portata a laurearsi in psicologia e poi specializzarsi come psicoterapeuta. Successivamente ha allargato il suo orizzonte  professionale all’ipnosi, magnetismo fascinazione e PNL; strumenti usati sia in ambito clinico che artistico.
Allora, ad un modello di mondo che per certi versi sento lontano e diverso da quello che per misteriosi motivi accompagna sin da piccolo le mie speranze, ho sempre risposto cercando di riempire il quotidiano di pensieri semplici ed essenziali, e un fare che invece a conti fatti ha con il tempo puntato ad obiettivi sempre più alti e ambiziosi.

Spero non sia ancora giunta per me l’ora dei consuntivi definitivi ma le cose fatte sino a qui stanno a dimostrare come sia realmente possibile cambiare il nostro modo di essere in questa vita, ribadisco in questa e non in un’altra, alternativa che lascio volentieri nella testa di chi ci crede. Tra i vantaggi di un lavoro decisamente segnato da inconfondibili tratti di matrice operaia non certo da intellettuale e studioso, il più gratificante è di certo quello di essermi conquistato il diritto di stare a questo mondo dell’arte facendo le mie personali scelte, libero e non condizionato da interessi e opportunismi vari: alla fine, oggi ancor più di ieri, debbo rendere conto professionalmente ed umanamente soltanto agli artisti coinvolti nei diversi progetti e a me stesso, privilegio raro di questi tempi. Insomma massima libertà, e anche qualche inevitabile rischio, nella ideazione e realizzazione di progetti che in altre mani sarebbero diversi o semplicemente irrealizzabili.

Questo per dire che anche se il criterio con cui costruisco la programmazione di “Officinaed’Arte” rimane lo stesso, ben distinto e a tal punto caratterizzato da impedire anche il confronto con progetti simili che, da quello che ci risulta, non esistono proprio, il dietro le quinte di ognuna delle quattordici mostre sin qui realizzate è dato da un intenso lavoro che ogni volta deve accantonare buona parte delle certezze acquisite per ridefinire la sua proposta a misura delle diverse personalità coinvolte: e questa di Silvia Piconi è ancor più diversa e caratterizzata anche per quello che ha messo in gioco per il sottoscritto.

Ho conosciuto Silvia appena nel maggio scorso e ci sono voluti giusto quattro secondi per decidere che avremmo costruito assieme questa prima personale nella sua città. A dire il vero ho passato i primi due secondi molto sulla difensiva e, non mi vergogno a dirlo, anche intimorito dalla storia professionale importante che la ragazza ha deciso ad un certo punto di trasferire a mezzo di espressione artistica.

Gli altri due secondi sono invece bastati ad eliminare le preoccupazioni per un “incontro al buio” che avrebbe potuto mettermi in una situazione seria, artisticamente ed anche umanamente difficile da gestire: la ragazza è davvero brava e quello che trasferisce nei suoi lavori, prima ancora di andare a valutare i risultati estetici raggiunti è, per il mix di profondità di pensiero, di conoscenze, di analisi e di personalità, roba rara da trovare in un mondo in cui l’impegno prioritario dei giovani artisti sembra essere quello di rincorrere le mode e sgomitare alla ricerca del consenso di mercato. E il bello è che a tanta materia, corposa e difficile già nelle intenzioni, corrisponde un risultato pittorico invece godibilissimo e messo a disposizione di chiunque: certo, resta importante sapere il meccanismo di costruzione dei suoi lavori, ma, per assurdo, anche un occhio distratto e poco incline agli approfondimenti sarebbe lo stesso appagato dal confronto e spinto alla fine a volerne sapere di più.

2013 è l’anno in cui L’artista ha intrapreso un percorso personale di ricerca e sperimentazione interiore con l’ausilio della pittura, in stato di autoipnosi, tuttora in atto. Il lavoro e la ricerca artistica, avviene ad un livello di attenzione fluttuante indotto dalla tecnica di Autoipnosi, dove si può raggiungere uno stato di profondo rilassamento. Alleggerendo le tensioni mentali, possiamo avvicinarci al proprio caos psico-emotivo interno in maniera più istintuale ed inconsapevole, permettendo alla mente cosciente di avere un dialogo diretto ma profondamente armonioso, con il nostro mentale in ombra “l’inconscio”, che viene estrapolato e proiettato all’esterno in maniera più chiara grazie all’atto del dipingere ed il simbolo\i che ne crea.

A proposito di giovani artisti fa un poco impressione fare i conti con una storia iniziata soltanto 3 anni fa.

Sin dagli esordi del 2013 l’aria che si respira nei lavori pittorici di “Trasparenze” e ne “La Coppia”, sembra già essere il frutto di un percorso lungo e ben più complesso del processo di autoipnosi per il quale passa ogni suo singolo lavoro: la stessa maturità in fatto di scelte che l’ha portata in poco tempo a dare UN corpo ed UNA forma al suo essere artista.

Nel lavoro con le LINEE, il concetto che l’artista vuole comunicare è: “casualità non casualità”, tramite la proiezione di tensioni inconsce interne, all’interno dei confini dello spazio lavoro. Così inizia lo studio delle linee che incrociandosi creano forme e simboli nello “Spazio Quantico” accogliente del tutto. La visualizzazione della casualità non casualità intrecciata, rappresenta il racconto della storia del proprio essere. 

Il lavoro con le Linee è tassello importante e dagli sviluppi ancora tutti da scoprire di un lavoro che va diritto per la sua strada fregandosene alla grande del mondo attorno. Silvia nell’elaborazione dei meccanismi emotivi ha già parecchio da fare con se stessa e con lo spazio che andrà ad accogliere il suo intervento artistico: nel suo fare, mentale ed artistico, non c’è spazio alcuno per gli elementi esterni che per tanti altri sono invece sin troppo importanti. I suoi lavori, in  primis quelli con e su “le linee”, facilitano il compito a chi, come il sottoscritto, approfitta di ogni occasione utile per ribadire che ad un sistema dell’arte atrofizzato e in corto circuito, si deve e si può rispondere lavorando a progetti personali che debbono in primo luogo rendere conto a se stessi ed alla propria onestà. Conquistata nei fatti e non a parole questa condizione resta poi il problema di mettere in comunicazione e a dialogo il frutto del proprio lavoro con quella che è la condizione storica e culturale di quel preciso momento ed è certo che decidere di affrontare individualmente il confronto con un sistema dato, qualsiasi esso sia, è il modo migliore per dichiarare, prima ancora della battaglia, la propria sconfitta. Alternative ne esistono e sono quelle che portano alla costruzione di quelli che chiamo “spazi liberati” dagli interessi e dalle deviazioni di questo sistema: zone e spazi (mentali, culturali e anche fisici) personali e, necessariamente, collettivi. Non importa il modo e la forma che ognuno decide in piena autonomia e sulla base del proprio pensiero, ma davvero è giunta l’ora di puntare i piedi e di provare a fermare questa corsa a folle velocità verso il ritorno ad un modello di uomo (e di società) che di “sapiens” ha davvero ben poco. Certo se qualcuno mi venisse a dire di cominciare oggi a “lavorare su me stesso” sarebbe come invitarmi a saltare dal ponte più alto del mondo senza avere proprio nessuna speranza di uscirne vivo: già rischio la pelle ogni volta che mi metto sotto la doccia e ad un certo punto mi accorgo di stare trattenendo il respiro da troppo tempo e che, cazzo, ogni tanto debbo pure tornare a respirare. Non so starnutire; non so fischiare; non mi rilasso neanche quando dormo; ho le guance perennemente indolenzite per le arcate dentarie in trazione giorno e notte; non galleggio e se smetto di agitare le braccia vado giù come un pezzo di piombo; non so neanche respirare ma so invece trattenere il respiro per parecchio tempo (?); per non dire poi delle cose che dimentico oppure delle tante che ignoro e preferisco non conoscere di me.

Gli ultimi lavori sono stati una sfida verso le origini.

“Tracce” create da “Linee tremolanti”, uniscono il tutto dando vita al “Simbolo”, voce delle nostre profonde oscurità ancestrali e delle nostre emozioni incistate dalle personali storie vita.

Storie fatte di valori, norme e giudizi, frutto di una rigida e sterile quotidianità, che impedisce di fare il “Vuoto” seme del “Nuovo”, che parla del tutto, che parla delle nostre “Danze Aliene” interiori.

Quasi a dover ricostruire il “punto fermo” di un percorso che in poco tempo ha seminato nello stesso campo così tanti elementi, arrivano ora le “Danze Aliene”. Le linee perdono i confini netti e definiti; sembrano agitarsi e muoversi confuse; lasciano sulla propria strada segni che raccontano di soste utili al confronto e a riordinare le idee; ritornano su se stesse; non tirano più diritte per la loro strada e disegnano un reticolo in cui la meta apparentemente sembra non trovarsi più. La trama martellata della carta offre tutto quello che serve a rappresentare uno spazio mentale non più lindo e lucente ma vissuto di segni, colore e patine. È una danza sofferta e intensa in cui la ricerca del nuovo si confronta a muso duro con i valori e le regole di un quotidiano che sembra proprio non voler abbandonare il campo.

Insomma Silvia volevo dirti che mi sono sempre tenuto ben lontano da quello che invece riempie la tua vita, il tuo lavoro e il tuo fare artistico. Tradotto in arte voglio dire che se il TUO “Autoritratto” del 2015 è un trittico fatto da un pannello bianco a destra, uno nero a sinistra, ed uno centrale attraversato da una ragnatela (casuale ma qui, ancor più che in altri, non casuale) di linee che si incontrano (e si lasciano) e poche zolle di territorio nere di china, che da senso compiuto e significato all’opera, al mio autoritratto sarebbero bastati i soli due pannelli esterni, una perfetta sintesi giocata sul bianco e nero e nulla di più.

A questo punto, sembrerei aver perso il filo del discorso e invece mi ritrovo a dire dei miei limiti per dichiarare la grande ammirazione che ho per te e per chi affronta la vita e l’arte in modi diversi dai miei. Poco prima di chiudere questo testo ho avuto un’altra grande occasione per misurare le motivazioni e le scelte (verrebbe da dire stilistiche ma preferisco chiamarle umane) con cui affronti i tuoi impegni: con l’intervento per la rassegna “Cittadelladell’ARTE” sussurrato e volutamente tenuto nascosto quasi come forma di rispetto per la storia che delle vecchie porte di un palazzo di Avigliano Umbro hanno assorbito dal tempo, mi hai detto che, certo che sì, siamo diversi ma che la diversità, e la capacità di confronto e dialogo tra diversi , sono le più grandi forme di arricchimento culturale ed umano a nostra disposizione.

Guarda caso proprio il contrario di quello che in questi tempi difficili attraversa miseramente il cervello di milioni e milioni di poveri cristi che non trovano meglio da fare che prendersela con quelli più poveri di loro.

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